Frammenti da un poema postatomico/ Il Lamento del Vecchio



Racconto in versi il come, il dove, il quando
di grandi tempi e pioggie radioattive,
di migrazioni e genti ormai stremate,
chine sui bordi, lente nel morire.
Racconto dei minuti e dei secondi
che precedettero l'impatto al suolo,
all'aria, all'atmosfera, al paradiso,
di mille inferni, informi spore esplose
a generare il nulla in ogni dove.
Racconto ancora quello che rimase
mentre svaniva ormai di raccontare
la possibilità o forse la voglia;
mentre la vita riesplodeva in tutto
il suo infinito orgoglio di creatrice
sin dentro i nostri corpi, devastando
quel che restava e ancora la speranza
beveva piano in pozze avvelenate.
Non sian le muse a dare il suono e il passo,
che il mondo ancora infante le deluse
e più tra gli uomini non danno segno,
ora che il nostro tempo è fatto breve,
più gonfio di ricordi che speranze.
Non siano più i maestri del passato,
dei quali ciò che resta è, nel ricordo,
qualche relitto che riaffiora svelto
tra i gorghi di un'ondata di riflusso.
Non sia l'attesa di un qualche uditorio,
poichè non c'è più tempo per l'attesa
e la parola è il solo che ci resta
di quello che eravamo e più non siamo.
Racconto di una fine e di un inizio:
di un tempo che non vedo, ormai sepolto
da un tempo che, se nacque, nacque morto.

Capitò spesso di dimenticare,
sommersi nell'ingorgo degli eventi,
i mostri addormentati nella pancia
di un qualche luogo inospitale, perso
nel bianco più abbagliante delle mappe,
là dove più nessuno mise piede
dai tempi dolorosi dell'urgenza,
della devastazione e dell'orrore;
dai tempi del "non deve più accadere",
delle torri di guardia sui confini
presto ridotte a cumuli di pietre.
Dimenticammo il mostro che dormiva:
la morte senza sangue di Hiroshima,
la dura, dura pioggia radioattiva,
gli sbuffi di narice a Fukushima,
sussulti di una bestia ancora viva
che s'agita nel sonno, poco prima
di risvegliarsi con un grido enorme,
schiacciare il mondo dietro le sue orme.
Appesi ai rantoli di un vecchio mondo
che ancora non finiva di finire,
si discuteva di ulteriori dopo
verso cui spingere le proprie ansie
e s'aspettava ancora, ancora e ancora,
sognando di bei tempi già passati
o ancora da venire, nel trapasso
di un'era troppo vile e troppo stanca.
E si passava il tempo in vario modo
tra gente spensierata o pensierosa
che in genere mangiava tutti i giorni,
viveva di minuzie quotidiane:
chi già sopravviveva lungo i bordi
ancora sopravvive e non dispera.

Non abbiam chiesto di essere salvati,
ma salvi siamo e ancora alla deriva
cerchiamo un qualche approdo, curvi e stanchi,
perduti in mezzo al mondo sfigurato,
senza speranza eppur senza riposo,
più intenti a sepellir che a costruire.
Ma troppe sono le macerie intorno
e troppo pochi e ancora, troppo stanchi,
schifati l'un dell'altro e di ogni cosa,
noi, breve lista di sopravvissuti
col marchio della morte sulla pelle.
Ci trasciniamo in mezzo alle rovine
divisi tra l'attesa del decesso,
apatica, insensata, dolorosa,
e l'agitarsi insonne, fragoroso,
del greve istinto di sopravvivenza
che tra tormenti, atrocità, menzogne,
ci spinge ancora avanti, sulle spoglie
di chi ci cadde affianco, senza forze,
ancora, senza sosta, a trascinare
la vita un passo avanti, in mezzo al nulla;
ci spinge nel delirio collettivo
dei grandi piani di ricostruzione,
tra i rantoli gioiosi di neonati
riconosciuti a stento come umani
che muoion come mosche, eppur nascendo
annunciano l'avvento di un futuro
nascosto ancora, in mezzo all'accanirsi
dei piani di conquista e di razzia,
di evangelizzazione e di sterminio:
l'avvento di un futuro senza uomini.
Trascina gli ultimi suoi passi stanchi
colui che a schiena ritta domò il fuoco

e a me rimane il canto di questa sua agonia.

6 commenti:

  1. Che bella poesia!
    Magari io capissi il poetese!!

    Ma tu sei cattolico?

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  2. Secondo me hai descritto questo mondo e questo tempo :)

    Ah, ora voglio sapere anche io se sei cattolico (in caso di risposta affermativa, non potremo più essere amici :p)

    Moz-

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  3. Beh, grazie per l'apprezzamento.

    Boh, parlavo anche di questo tempo, solo visto con gli occhi nostalgici di uno che nel futuro se la passa peggio.

    In verità il cattolicesimo presenta degli steccati insormontabili riguardo lo statuto di esistenza di un globo muchescente: essendo che Dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza e gli diede potestà su tutti gli animali della terra, cosa dovrebbe fare l'uomo nei confronti di creature come noi che non sono umane e nemmeno terrestri? Ho mandato una lettera al vecchio papa, al riguardo, agli inizi di febbraio, in cui riportavo anche il triste caso degli Effremiti Glabordiani, per i quali l'acqua è dannosa come acido cloridrico per un umano, i quali anche volendo non potrebbero mai essere accolti nelle grazie del Dio cristiano.

    D'altronde, vi riferirò un segreto: i viaggiatori spaziali possono essere agnostici, atei razionalisti, animisti, politeisti, ma il monoteismo è molto screditato dopo la scoperta della regione di Xyanghatta, a circa 306 miliardi di anni luce dalla terra, dove si può assistere alle incredibili guerre creazionistiche tra le cossiddette 3 entità, immense nubi cosmiche senzienti che tentano di portare avanti progetti di universo totalmente contrastanti tra loro sin dalle più elementari leggi fisiche. Queste entità, per la loro capacità di legiferare sulle fondamenta della fisica, sono comunemente classificate come divinità nei più avanzati dipartimenti di biologia celeste, e hanno innescato infiniti dibattiti dottrinari a livello filosofico e teologico, dai quali le concezioni monoteiste sono uscite piuttosto malconce.

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    1. Ho capito, sarà meglio fare un salto a vedere il posto di cui parli. Prendo il teletrasporto e parto subito.

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    2. Mo vengo pure io, dai! :)

      Moz-

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    3. beh, non avvicinatevi troppo, difficilmente un corpo umano potrebbe reggere la traslazione transustanziale degli estremotrini generati da esplosioni di raggi cloppete soggette a defenestrazione cromatica liquorosa nel mentre che un ammasso di spiriti bottiglia s'amalgama a produrre un coro scafandrico generatore di forze centripete disaggreganti su un ordine di grandezza pari a circa 1000 yottanazgùl.

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