I folli di Udda Pudriada

Durante la guerra mio nonno pascolava i folli.
Sui monti li vedevi arrampicarsi e brucare
lische e teste di pesce, in quantità che dopo un anno
gli si formava una seconda spina dorsale
nell'esofago, s'irrigidiva la schiena
e mangiavan solo brodo di radici.
Ovviamente morivano di lì a poco,
ma il latte giallo a pois bianchicci che buttavano
dalle loro mammelle a forma di Martin Lutero
era un ristoro degno degli dei.
Al latte dei folli sono allergici i nazisti,
lo usavan gli alleati per scovare spie.
Per questo Udda Pudriada non fu bombardata,
e anche perchè mio nonno conosceva
tutti i dischi dei Beatles a memoria.

I folli ti guardavano dall'alto,
appesi ai rami della palme, a testa in giù,
con lo sguardo di chi ha già fatto la spesa
ma ha dimenticato il portafoglio a casa.
Quando mio nonno li portava in giro,
sblindando per i monti e per le valli,
cantava la canzone più canzone,
quella che dice ieshalloviu,
e fa ancheggiare ancora tutto il mondo;
i folli lo seguivano sbattendo
l'uno sull'altro ed annusandosi le orecchie.
Scuoiarli era un gioco, per noi bambini:
bastava stenderli legati stretto a tre pali
e chiedergli di fare addominali.

Non ci sono più le bianche pelli stese
sopra le torri nere con artigli dove
mio nonno rinchiudeva i folli
quando d'inverno volava l'avena.
L'avena è la nemica dei folli e li avvelena,
li trasforma in tartarughe e casse oblunghe.
Mio nonno non mangiava tartarughe,
la pelle delle casse oblunghe è troppo dura.
Perciò li rinchiudeva nelle nostre torri nere
dove ora son rinchiusi quelli coi capelli rossi.

Di folli non ne son rimasti,
quando i nazisti vinsero la guerra
furono tutti confiscati
e Dio solo sa che fine abbiano fatto.
Ora ci sono questi coi capelli rossi
che possono essere allevati in stalla,
ma il loro latte è molto meno buono
e non c'è più gente come mio nonno.

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